Buonasera
a tutti, perdonate se mi trema la voce ma l’emozione di essere qua a parlare di
questa ricorrenza … fa un certo … effetto!
Voglio
innanzitutto porgere un saluto ai familiari e ai parenti di questi sette
giovani, con la consapevolezza che nessun discorso potrà cancellare la violenza
subita. Un saluto alle Autorità civili e militari, a tutte le Associazioni e a tutti
coloro che con la loro presenza, oggi,
vogliono onorare il ricordo di questi giovani Partigiani morti per la
Libertà.
Quando
mi è stato proposto di essere l’oratrice, qui, oggi, in un giorno così
importante mi sono chiesta “chi? Io?” Però
poi riflettendoci mi sono detta “Si, io. Qualcosa da dire ce l’ho!” Sono Marta
Maria Manzotti, laureata in Filosofia a Macerata. Ora sono una volontaria del
servizio civile e curo il progetto
dell’Arci servizio civile “ La memoria dalle storie locali all’educazione alla
pace”, grazie al quale sono entrata in contatto con questa realtà. Dedico due
righe a questo progetto che mi ha aperto tante porte da scoprire, tra cui
questa appunto.
Trasformare
la Memoria come forma di azione non violenta per educare il prossimo ai valori
della Pace e solidarietà. Questo è
l’obiettivo. Poniamo continua attenzione
dedicando giornalmente tempo alla Ricerca sempre più approfondita su eventi che
hanno coinvolto (e sconvolto ) pesantemente la nostra società. Mi riferisco alla
terribile e disumana Soluzione finale del problema ebraico, ovvero la Shoa, e alla
ribellione a quel regime nazifascista, ovvero, al movimento di Liberazione in
Italia. Vogliamo far sì che la Memoria insieme alle celebrazioni annuali che la
riguardano si trasformino in uno stile di vita concreto. In un modo di pensare
non solo teorico ma pratico. TRASFORMANDO QUINDI L’EVENTO IN QUOTIDIANITà, in qualcosa non di vecchio e di antiquato ma
contemporaneo. E come ? Risvegliando la consapevolezza della nostra
storia. In questo momento stiamo
somministrando questionari a giovani dai 18 ai 30 anni con l’intenzione non
solo di valutare il grado di sensibilità e di percezione storica ma anche e
soprattutto di generare in loro una riflessione interiore in un momento
successivo. È un progetto a rete che
vede coinvolte più regioni e città quindi si è creato un spazio di ricerca e di
confronto che riguarda la nazione intera. Il dialogo coinvolge in primis noi
stessi con le materie, leggiamo, studiamo e questa conoscenza che ci entra
dentro trasforma la nostra percezione, risveglia in noi la voglia di
confrontarci con altri, secondo i valori del rispetto e dell’apertura mentale e
della diversità (per esempio noi
volontari di questo progetto, provenienti da territori diversi, ci siamo
incontrati tutti a Roma e insieme ci siamo potuti conoscere e confrontare).
Infine c’è la volontà di espandere questo dialogo alla nazione intera.
Stimolarla ad avviare un dialogo con il passato e ad avviare una trasformazione
interiore . Perché possiamo cambiare il fuori, solo iniziando da noi stessi e
dalle nostre radici. Questo è tutto quello che sto imparando in questo anno di Servizio
civile universale e l’essere qui oggi, mi riempie il cuore. Nessuno mi
obbligava a proseguire ma queste due realtà il Servizio Civile e l’ANPI hanno
destato in me una fame di conoscenza e di approfondimento di questi argomenti,
hanno fatto nascere in me tante riflessioni e tanti interrogativi. Ho potuto partecipare il 24 Aprile alla
Deposizione delle corone con il giro dei cippi, ed è stata un’esperienza
emozionante e toccante, in cui, appunto, ho potuto toccare con mano e
soprattutto con il cuore i luoghi della Memoria e respirare la volontà di
ricordare coloro che sono morti ed hanno combattuto per la Libertà.
Fin
da piccola ho sempre avuto una certa predisposizione per un mondo trasognante,
spensierato dove alberi piante fiori uccellini e altre creature potessero
respirare felici e io potessi correre, saltare in mezzo a loro. Li, in quel
mondo, l’unico battito importante che avrebbe fatto vibrare tutto il corpo e
l’anima sarebbe stato quello del cuore. E L’unica esplosione di luce sarebbe
stata quella che avrebbe bagnato e inondato i miei occhi gioiosi di vita. Una bella visione ,vero? Altro che spari e
bombardamenti.
Sono
cresciuta in queste campagne con i miei nonni, Zelinda e Armando Manzotti. Lui
ha combattuto per la libertà e tanto, entrambi, mi hanno raccontato e
insegnato. Mi ricordo ancora, quando ero piccola e passavo tutto il mio tempo
in loro compagnia, di quando la sera (perché spesso dormivo da loro) mi veniva
posta la fatidica domanda : “vuoi che ti racconta una storia Nonna o Nonno?”
Naturalmente preferivo le storie di fanciulle, gattini … Mi ricordo che provavo
ad ascoltare i racconti di Nonno ma mi rimandavano immagini troppo cruente e mi
ricordo tutt’ora di quando sentivo i passi di nonno, di notte, per la casa,
girare insonne e un certo odore di sigaretta cresceva nell’aria. Me lo ricordo agitarsi
tra le coperte nel buio. A lui non bastava dire “no” e chiudere gli occhi per
dimenticarsi di quelle immagini. Aperti o chiusi, i suoi occhi, le avevano
assorbite e ora, le dovevano contenere .
Anche i partigiani Armando e Luigi Angeloni, Vincenzo Carbone, Francesco
Cecchi, Calogero Graceffo, Alfredo Santinelli e Mario Saveri avrebbero
preferito le storie della nonna e come me evitare storie violente che, invece,
hanno dovuto non solo ascoltare e vedere ma … vivere.
20 Giugno 1944. << Stavo salendo le scale della mia
abitazione>> Racconta nel suo libro “La storia attorno casa 1930-1948”
Nello Verdolini << quando dalla
finestra spalancata vidi passare i ragazzi rastrellati, una ventina, tutti in
fila uno dietro l’altro, in mezzo alla strada. Fra loro c’era anche Peppino
d’Assunta >> ; << All’altezza dell’incrocio di Santa Caterina un
altro ragazzo che stava ritornando a casa, Alfredo Santinelli, venne obbligato
con le armi a seguire gli altri, ed egli andò in mezzo ai suoi amici quasi di
buon grado. Nella via, passato il rastrellamento fascista, tutti ritornarono
alle loro occupazioni. I genitori, i parenti dei ragazzi portati via pensavano
che da un momento all’altro sarebbero stati rilasciati. Solamente Gigetto
Tittarelli, il sarto, padre di Peppino, dopo un po’ inforcò la bicicletta e
andò a vedere. Ritornò col figlio sulla canna della bicicletta. La gente gli
andò attorno per sapere. Peppino, piccoletto, biondino, era bianco come un cencio.
Si capiva che aveva avuto una gran paura. (Sembrava più piccolo di quello che
era e lì per lì non disse un granchè, era come paralizzato) A monosillabi disse che i fascisti li avevano
fatti mettere tutti a ridosso di un muro, con il viso rivolto alla parete. Con
minacce ed urla volevano sapere dove fossero i partigiani. Spararono alcune
scariche di mitra, senza colpirli, facendo loro credere che li stavano
fucilando. Tutti in via Roma erano
convinti che l’avventura per quei ragazzi si sarebbe risolta con una spaurita e
che, così come era stato rilasciato Peppino, presto sarebbero stati rilasciati
tutti gli altri. Non fu cosi! A Monte
Cappone si seppe poi, i ragazzi furono fatti sfilare davanti ad una porta, ad
uno ad uno. Dentro al buio, c’era il comando fascista insieme alla ragazza che
aveva detto di essere profuga e che era ospitata nell’appartamento di Elena. In
effetti, essa era una delatrice di Fabriano in forze al comando fascio
repubblicano di Jesi ed amante di un tenente dell’esercito della RSI. In base
alle indicazioni di costei, i giovani vennero divisi in due gruppi: quello più
numeroso, dopo essere stato intimidito e terrorizzato, venne mandato a casa.
L’altro, di sette giovani, fu ritenuto composto da partigiani e trattenuto .
>>
Si sa che i familiari di questi sette ragazzi cercarono di
estrapolare informazioni, notizie da quelli liberati ma … erano fuggiti
tutti. Andarono a Montecappone ma i
fascisti dissero loro che non c’era nessuno li. I contadini, pero, che
abitavano li vicino .. avevano assistito alla crudeltà a cui quei poveri
ragazzi erano stati sottoposti ma non ebbero cuore di dire nulla. Solo al
mattino successivo, quando i fascisti se ne andarono sfilando per via Roma
portando in processione i ritratti di Mussolini, i familiari ritornarono nello
stesso posto e trovarono in un fossato i corpi martoriati dei loro ragazzi,
martoriati da una ferocia disumana. Tanto che erano a stento
riconoscibili. Nello Verdolini conclude
il racconto di questo triste e crudele episodio: << Avevano subìto il
martirio, ma non diedero nessuna informazione, né rivelarono i nomi dei
partigiani che bene conoscevano. Di fronte alle minacce, al terrore e alla
morte più atroce non parlarono, non tradirono i loro compagni. Li ricordo
tutti: Gigetto del cementista (Luigi Angeloni), 18 anni,mio amico d’infanzia;
Armando, 25 anni,suo fratello; Alfredo Santinelli, 18 anni; Francesco Cecchi,
18 anni,che tante volte avevo sentito cantare con la sua bella e chiara voce
“Bella ciao”; Mario Saveri, 23 anni; Enzo Carbone, calabrese e Calogero Grasceffo,
siciliano, entrambi militari ventenni, che avevano trovato rifugio nella nostra
città dopo l’8 settembre>>
Ho trovato storie davvero agghiaccianti sulla nostra città
nel periodo prima della liberazione, un clima di terrore fatto da fascisti e
tedeschi minacciosi che giravano per Jesi, un’ infinità di allarmi aerei ed
incursioni violente. Le vorrei citare tutte ma il tempo è breve. I miei studi
filosofici mi portano a riflettere sui fatti di quei giorni.
VIVERE. Cosa significa Vivere? La realtà che sta al di fuori di noi siamo poi cosi sicuri che sia cosi diversa dal
sogno? È bastato un singolo uomo a
sognare un mondo in cui il razzismo e il totalitarismo predominassero per far
si che diventasse un’orribile realtà. Il
sogno, dunque, può sfociare nella realtà e la realtà nella follia. Quando
comprendiamo che la realtà non è quella che vediamo ma quella soprattutto che
scegliamo di vedere o è la nostra cura, in quanto ci possiamo risvegliare ed
essere più consapevoli, o, se non ci si accorge delle illusioni create, è l’origine
di una malattia/nevrosi. Gli uomini, infatti, da sempre desiderano e rivolgono
l’attenzione verso quello che vedono fuori di sé e che sentono di non avere.
Percepiscono di non essere abbastanza, di essere difettosi, manchevoli di
qualcosa e questa è l’origine della paura e della violenza. Le guerre, l’odio,
l’invidia, la ricerca del potere … Le persone non si accorgono di essere uguali
al prossimo, nella stessa condizione esistenziale sognante (si, “sognante”
perché sono proprio i sogni che consapevolmente o non, ci muovono ogni giorno e
ci condizionano), individui irrequieti in cerca di qualcosa che colmi il vuoto
e l’insicurezza che esso genera … e non vedono che la ricchezza è nel
condividere. È lo spazio che accoglie nuovi mondi: il sogno dell’altro.
Apertura. Vi sto parlando tanto del sogno perché è da li che i nostri pensieri,
la nostra vita, la nostra società e la nostra cultura hanno inizio. È per
questo che per evitare di rifare gli stessi errori è importante imparare a
sognare . è importante sognare con Responsabilità.
Questi
uomini hanno davvero vissuto l’inferno, hanno combattuto per ribellarsi e non
si sono arresi di fronte alla cecità e alla follia umane. Mi viene in mente
“Noi non abbiamo certezza, abbiamo solo la speranza” , questa è una citazione
del Filosofo Ernst Bloch, che, a mio parere, esprime l’animo di chi non si è
arreso e ha continuato a coltivare la Speranza come espressione dell’istinto
umano. Sempre secondo Bloch, infatti, “La Speranza è il più umano di tutti i
moti dell’animo e accessibile solo agli uomini: al tempo stesso si riferisce
all’orizzonte più ampio e più luminoso “ perché è proprio grazie a questo
sentimento che anche nel buio più oscuro quale, paradossalmente può essere
proprio il presente immediato, perché … ci
rendiamo conto che in realtà non c’è nulla di più oscuro di questo attimo,
proprio questo, il presente, ora. I partigiani lottavano nell’incognita di come
sarebbe andata a finire ma il fuoco della ribellione e della Speranza li
incoraggiava ad andare avanti, a non fermarsi . La Speranza creava in loro Luce
e stimolo. I combattenti per la Resistenza hanno corso il rischio, hanno avuto
fede nei loro ideali e nei loro sogni. Hanno seguito la voce della speranza che
li animava al fine di poter cambiare quell’incubo in cui l’Italia era
sprofondata. Ci hanno creduto, fino alla … Morte.
Quando
leggo queste storie fatte di dolore, di violenza ma anche di ideali e alti
valori mi viene spontaneo fare il paragone con la società attuale in cui sono
cresciuta. Oggi abbiamo tutto. Non ci manca nulla eppure … sento che qualcosa
di importante sta svanendo. L’autenticità. Siamo terrorizzati dal prossimo
soprattutto se diverso, l’invidia e la voglia di essere migliori e più potenti
dei nostri vicini ci sovrasta, apparire felici e spensierati e belli è un
dovere per la sopravvivenza sociale. Ma dove è l’autenticità? Dove è la presa
di coscienza di essere in un modo e non in un altro? Dobbiamo essere tutti
simili e nella somiglianza essere migliori.
Io dico che la bellezza e l’autenticità della diversità è ciò che ci rende
simili. Ed è meraviglioso. Quei partigiani erano ognuno una personalità
diversa, un fisico diverso ma non importava, quello che contava era il fuoco
che scorreva nelle loro vene e alimentava il coraggio di ribellarsi alle
mostruosità di una società che voleva tutti i cittadini succubi e schiavi di
uno stesso pensiero claustrofobico privo di libertà di espressione e
soprattutto privo di umanità. Essere Partigiani , come per definizione, è non
cadere nell’oblio dell’indifferenza e spersonalizzazione. Essere partigiani è
scegliere di essere in un modo e non in un altro. È SCEGLIERE, l’azione più
importante che possiamo fare nelle nostre vite. L’essere che siamo e diventiamo
è frutto di una nostra continua responsabilità quotidiana per cui prendiamo coraggio
di dire NO a ciò che sentiamo essere un NO e dire con forza e ad alta voce ciò
che è SI. Il bene e il male esistono ma io credo fermamente che, se si
abbattono e superano tutti muri che abbiamo creato intorno ai nostri cuori
attraverso convenzioni, nozioni non sentite, fredde, attraverso fobie e paure …
io credo che i nostri cuori sappiano riconoscere ciò per cui vale la pena
lottare . Come diceva Jaspers:
“L’esserci è il mio esserci”. La nostra esistenza ci appartiene e spetta
a noi renderla memorabile esprimendo appieno la nostra autenticità e umanità.
Perché ognuno di noi può fare la differenza. Sappiamo tutti, credo, quanto
l’ansia, la depressione, le lamentele, la pigrizia, LA RABBIA siano contagiose.
Ci facciamo da specchio quotidianamente e comunichiamo soprattutto senza parole
ma con il tatto. A differenza di come la Realtà possa apparire frammentaria e
di come l’altro possa apparirci appunto “altro” e le parole non sono che
veicoli, il nostro essere sfiora quello di chi abbiamo affianco ed è la
comunicazione più forte e vera: quella del nostro Essere che tocca un altro
Essere, L’essere è qualcosa che si tocca, è qualcosa che è abbracciato da
qualcosa di ulteriore. L’essere è quel qualcosa che ci tiene legati, in
relazione. Diceva Campanella << Non può sentirsi mai la cosa che non si
tocca >> ,<< ogni
senziente sente in quanto pate >> e se cominciamo oggi,tutti, a
praticare l’autenticità e l’umanità, un piccolo mattone verso una storia
migliore è posto.
Questi
sette giovani partigiani hanno fatto una scelta. Hanno seguito il loro sogno di
migliorare la realtà e di fare la differenza. Ci hanno creduto fino alla fine
ma …
Muoiono
solo le illusioni e le mode,
L’Autenticità
è Eternità. Per questo, siamo qui oggi.
Perché i loro ideali sono VIVI e VIVA è la Resistenza.
Marta
Maria Manzotti
20
Giugno 2019
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