lunedì 6 febbraio 2017

OSTRA 73° Anniversario dell'eccidio dei Partigiani Pietro Brutti, Amedeo Galassi e Alessandro Maggini

Buongiorno a tutti,
vi ringrazio per essere qui a partecipare alla commemorazione dell’eccidio dei Partigiani Maggini Alessandro, Brutti Pietro e  Galassi Amedeo, fucilati dai tedeschi il 6 febbraio 1944.
Voglio ringraziare il Comune di Ostra, quello di Ancona, e tutti gli altri Comuni presenti, le autorità, i familiari delle vittime, il dirigente scolastico, gli insegnanti e gli alunni della scuola Elementare “Maggini” dell’Istituto Comprensivo Grazie e Tavernelle di Ancona e tutti i presenti.
Per me è particolarmente emozionante intervenire qui, oggi, a ricordare la fucilazione di Alessandro, Pietro e Amedeo. Sono emozionato perché il mio avvicinamento ai luoghi della memoria e della Resistenza, che poi, successivamente, è sfociato quando l’età anagrafica me lo ha consentito, nell’iscrizione all’Anpi, è iniziato qui, quando anche io avevo l’età di questi ragazzi che oggi sono qui con noi. Ho cominciato a sentir parlare di Partigiani dai racconti di mia nonna materna, anche lei fiera antifascista.
Mia nonna nata e vissuta per parecchi anni qui a Ostra: nel 1922 aveva 5 anni e ancora in braccio a suo padre aveva assistito alle bastonate che i fascisti davano nella piazza principale del paese a chiunque fosse anche solo sospettato di essere antifascista.
Nella sua fanciullezza, in anni di povertà e miseria, mia nonna si divertiva con gli altri ragazzini del paese a giocare sulle mura di cinta del paese.
Mi raccontava che gli anni del ventennio fascista furono caratterizzati sempre dalla violenza, dalla paura, dalla fame e infine dalla Guerra. Guerra che portava via tantissimi giovanti, tra cui, nel 1935, anche il fidanzato che a quel tempo aveva, che fu mandato prima in Etiopia e poi in Jugoslavia, dove morì.
Mia nonna, che era rimasta a Ostra, aveva conosciuto i tre Partigiani che oggi ricordiamo e il 6 febbraio del 1944 purtroppo, da una finestra che affacciava sulle mura del paese, assistette alla loro fucilazione. Dal quel momento, quelle mura non furono più ricordate come di giochi e del divertimento, ma un luogo che richiamava alla memoria le tragedie e i dolori causati dal fascismo.    
Ma perché vennero fucilati i tre partigiani?
Nel settembre 1943 Alberto Galeazzi ebbe il compito di organizzare la Resistenza nella valle del Misa, e anche qui nel paese si costituì un Gap. Nello stesso periodo, Ancona era sottoposta a violentissimi bombardamenti che fecero sfollare numerose famiglie anche qui a Ostra. Subito dopo la sua formazione il Gap di Ostra iniziò a compiere numerose azioni di disturbo. I gappisti si riunivano spesso in casa di Luigi Pirani, ma l’intento era quello di trasferirsi al più presto in montagna, ad Arcevia, per raggiungere gli altri partigiani, e solo la mancanza di armi aveva ritardato lo spostamento. Il 28 gennaio Pietro Brutti, il comandante del Gap e Alessandro Maggini, il commissario politico, vennero coinvolti in un conflitto a fuoco nella piazza centrale. La mancanza di armi indusse i Partigiani a compiere due azioni di attacco alle caserme dei carabinieri: il 2 febbraio a Ostra e il 4 a Belvedere Ostrense. I tedeschi, in risposta, intensificarono la presenza e iniziarono a rastrellare la zona. La mattina del 6 febbraio, Pietro Brutti, Alessandro Maggini e Amedeo Galassi, il vice comandante del Gap, vennero catturati, poi fatti sfilare con le mani legate dietro la schiena per la via principale del paese, suscitando per il loro contegno l'ammirazione degli abitanti, e dopo un processo sommario, vennero portati sotto le mura di cinta del paese e fucilati.
Dopo l’uccisione dei tre partigiani, il Gap di Ostra si riorganizzò con il nome di “distaccamento Maggini” e continuò la lotta per altri tre mesi.  La sera del 3 maggio una parte del distaccamento parti per Monte Sant'Angelo di Arcevia, con l’intenzione poi di ripartire il giorno successivo, insieme ad altri per San Donnino. Ma trovarono la morte nella notte su Monte Sant’Angelo in quell’attacco feroce portato dai nazifascisti.  
Chi erano i tre Partigiani che oggi qui vogliamo ancora una volta ricordare e onorare?
MAGGINI ALESSANDRO
Nato ad Ancona il 1° marzo 1924, studente, Medaglia d'argento al Valor militare alla memoria. Nato in una famiglia operaia, aveva potuto frequentare l’Istituto Magistrale e si era così iscritto a Magistero all'Università di Venezia. Alternando il lavoro allo studio, aveva avuto modo di collegarsi con gli ambienti antifascisti clandestini marchigiani. Fu così che, dopo l'armistizio, il giovane studente s'impegnò nella resistenza armata. Nominato commissario politico (con il nome di battaglia di Doro), del GAP di Ostra, si distinse in numerose azioni.
PIETRO BRUTTI nato ad Ostra in una famiglia numerosa di mezzadri, 38 anni, sposato con figli, era il comandante della formazione;
AMEDEO GALASSI figlio di un piccolo coltivatore diretto di Ostra, 21enne, diplomato perito agrario, aveva maturato già nel ’42-’43 una ferma avversione per il regime fascista.

Il sacrificio di questi tre Partigiani ha contribuito a donarci la libertà e anche con il loro sangue è stata scritta la Carta Costituzionale che è alla base del nostro vivere pacifico e democratico.
Io ritengo che per le nuove generazioni i racconti dei nonni, o anche degli ultimi testimoni, unitamente al lavoro degli insegnanti nelle scuole, siano un grande stimolo ad andare ad approfondire la conoscenza della storia del nostro Paese. Si tratta di una storia che ci può apparire lontana, perché in fin dei conti, sono passati 73 anni dagli avvenimenti che qui ricordiamo. Ma è ancora vicina perché sono vivi i familiari delle vittime e alcuni dei testimoni e abbiamo il lavoro degli storici. I giovani devono conoscere cosa è stato il fascismo e le atrocità che ha commesso. Solo conoscendo tutto il marcio che c’è stato sarà per loro naturale oggi rifiutare l’odio, la violenza e la discriminazione che ne è alla base.
Concludo citando le parole di Vera Maggini, sorella di Alessandro, che aveva scritto alcuni anni fa per Patria la rivista nazionale dell’ANPI: “la Resistenza deve sopravvivere ai suoi protagonisti e deve trovare, al di là del mito, la forza e la capacità di difendere e diffondere i suoi inalienabili valori; e se la mitizzazione è il sentimento alto e nobile della gratitudine, la partecipazione e la tenacia nel contrastare attacchi vili e spregiudicati è la doverosa manifestazione di altrettanta riconoscenza. Respingiamo dunque con le nostre “voci” e con le nostre “storie” lo squallore intellettuale e morale di quanti, con la livella dei “combattenti di qua e di là”, e con l’ostinata ricerca di vendicativi “scoop storici”, allontanano da quella partecipazione necessaria a procedere lungo il percorso democratico che i resistenti stessi hanno indicato”.



Ogni volta che si tenta l'equiparazione impossibile tra fascisti e partigiani, occorre ricordare una cosa: sicuramente la storia della Resistenza comprende momenti tragici e singoli orrori, come tutte le guerre. Sicuramente dei giovanissimi sono finiti da una parte e dall’altra per scelta a volte familiare, o per un insieme di ragioni che non è sempre facilissimo
comprendere o condannare.

Ma c'è un fatto molto semplice, che spesso incredibilmente sfugge: il “peggiore” se si può usare questo termine  tra i partigiani, combatteva per la libertà, e il “migliore” tra i fascisti, tra i repubblichini di Salò, per quanto giovane, per quanto "innocente", combatteva per un'Europa disseminata di campi di concentramento, per lo sterminio di etnie e minoranze, per un mondo schiavo di Hitler e un’Italia asservita a lui.
Come scriveva Italo Calvino, ne "Il sentiero dei nidi di ragno":
"C'è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro [...] tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori; perduti e inutili anche se vincessero, perchè non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio".
Per questo, semplicemente, i combattenti delle due parti non potranno mai, mai stare sullo stesso piano.


Daniele Fancello


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